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La SEO nel 2023: tra Amazon Prime, generative AI e la fretta

La SEO nel 2023: tra Amazon Prime, generative AI e la fretta

by Ticiano Sgarbi Novembre 03, 2023
Crescita del traffico

In questo momento storico la parola chiave più ripetuta in tutti gli ambienti è “intelligenza artificiale”. Con l’arrivo di ChatGPT, l’IA diventa mainstream e alla portata di tutti.

Nel mondo della SEO non è diverso, e questo passaggio ha comportato cambi importanti ma soprattutto la possibilità di esplorare nuove opportunità e minacce per consumatori e aziende, spesso troppo esposti alla ricerca di risultati immediati e poco sostenibili.

In questo articolo vedremo come la SEO può generare valore aggiunto quando applicata correttamente, anche in tempi dove l’intelligenza sembra stare tutta dalla parte dei computer.

La dimensione umana e l’effetto Amazon Prime

Chi di noi mentre era in fila non ha mai visto qualcuno perdere la pazienza ad aspettare il suo turno, oppure mentre guidiamo si è disperato perché non andiamo più veloci o addirittura perché abbiamo aspettato un secondo di più per ripartire al semaforo? Abbiamo fretta. Tanta. Troppa.

Poi, le nuove tecnologie hanno spostato una parte enorme dei nostri acquisti sul digitale. In modo impercettibile e molto piacevole ci siamo abituati a vedere i nostri acquisti-desideri essere consegnati-soddisfatti in tempi brevissimi. In alcuni casi la tecnologia predittiva riesce addirittura ad anticiparci oppure, attraverso suggerimenti e notifiche, istigare nuovi desideri di acquisto. Tutte esperienze che i tradizionali negozi di paese fanno fatica a replicare.

Il player più importante, Amazon, ci ha abituati a livelli di prestazioni impensabili fino al suo arrivo. Molti di noi oggi, grazie ad Amazon Prime, hanno il diritto a consegne gratuite (beh, forse) in tempi brevissimi. In alcune grandi città anche il giorno stesso.

La conseguenza? Tutti gli altri competitor devono misurarsi con questa efficienza che influisce, eccome, sulle scelte dei consumatori. Amazon impiega ingenti risorse umane ed economiche per far funzionare la sua imbattile macchina, investendo costantemente in ulteriori miglioramenti.

Da non trascurare gli effetti che tutto questo provoca nella neurochimica del cervello del consumatore. Per non andare troppo lontano, basta pensare alla dopamina.

Ma gli altri competitor, come fanno per fronteggiare tutto questo? Forse ci occuperemo di ciò in un prossimo articolo. Oggi il punto è: ormai, noi consumatori non diamo per scontata la soddisfazione immediata dei nostri desideri?

A chi ha dei dubbi, l’andamento dei ricavi di Amazon lo dimostra in modo chiaro:

È lecito dire che ormai la nostra società misura i suoi tempi condizionata da una profonda amazonprimite. Vogliamo tutto e subito.

La dimensione tecnologica e la prepotente crescita della generative AI

Passiamo dai comportamenti umani alla tecnologia che cambia le nostre vite più velocemente che mai. Con il rilascio di ChatGPT da parte di OpenAI, l’intelligenza artificiale ha fatto irruzione nelle abitudini e nei dispositivi di milioni di persone, come non era mai successo prima.

I LLM (large language models) alla base di ChatGPT erano già disponibili sul mercato e noti agli addetti ai lavori da anni. Certo che il passaggio di GPT3 a GPT 3.5 e poi GPT4 ha rappresentato un salto notevole. Ma il cambio più significativo è soprattutto quello di rendere disponibili queste tecnologie ad un pubblico ben più ampio, che ora può sfruttare le potenzialità di ChatGPT con un’interfaccia semplicissima, senza dover sapere scrivere neanche una riga di codice. Appunto tale e quale una chat.

Microsoft, il principale investitore di OpenAI, ha colto la palla al balzo e ha siglato un accordo per dotare Bing, il suo motore di ricerca, della stessa tecnologia e semplicità introdotta da ChatGPT, mettendo a disposizione del mercato un modo innovativo di fare ricerche. Chiaramente una mossa per cercare di guadagnare quote di mercato a scapito di Google.

Bing Chat utilizza l’intelligenza artificiale alla base di ChatGPT, in quella modalità che viene ora spesso chiamata come generative AI, ossia, l’intelligenza artificiale generativa, in grado di rispondere immediatamente agli input forniti dall’utente, adattando le risposte. Non più una prerogativa di data scientists e programmatori, ma alla portata di qualsiasi persona con un dispositivo connesso.

In base all’intento di quello che cerchiamo, Bing Chat non restituisce i risultati più rilevanti con i suoi link contestuali, ma un’esperienza nuova fatta di immagini, testi, video, snippet, link e altro ancora.

Successivamente, la chat di Bing si adatta agli input forniti dall’utente, sia un clic su un link, un termine, un’immagine, una mappa o altro ancora, ricreando un’esperienza su misura e unica.

La proposta è chiaramente di dialogare con l’utente fino a quando questo non avrà soddisfatto le sue necessità.

Di fronte alla minaccia portata da Open AI e Bing, qualche mese dopo Google ha rilasciato la sua versione della generative AI, denominata Search Generative Experience. In questo articolo non entriamo nelle tecnicalità, ma si tratta dello stesso principio già usato da parte di Bing.

Questo ha tolto il sonno dell’intera industria della search marketing: cosa succederà ora che l’intelligenza artificiale è in grado di fare tutto (almeno così sembrava di essere)? Ancora: cosa sarà della produzione di contenuti, ora che l’AI è in grado di produrre contenuti in grado di sembrare fatti da umani?

Naturalmente, in tanti si sono precipitati a pubblicare contenuti su larghissima scala affidandosi ai nuovi tool, con costi notevolmente ridotti. Cosa potrebbe andare torto?

Già.

EEAT, non è un ordine per mangiare

Un pensiero abbastanza diffuso in questi giorni è quello di cavalcare l’onda dei LLM e pubblicare contenuti su ampissima scala. Una volta impostati i parametri, tutto funziona in automatico o quasi, a bassissimo costo.

Tanti clicks a colpo sicuro, giusto?

Non è difficile immaginare il fascino che il facile guadagno esercita su molti produttori di contenuti, che iniziano a dedicarsi alla pubblicazione a dismisura di “nuovi contenuti di qualità”. Ma, una volta tanti di questi “contenuti di qualità” siano ugualmente pubblicati, quale tra di loro ha veramente “la qualità” che meglio risponde a quello che l’utente cerca?

Poi, dal punto di vista del motore di ricerca, come fare per classificare una quantità abnorme di pagine “di qualità”?

Nel corso degli anni Google si è inventato parecchie cose, tra tutte l’acronimo EAT: expertise, authoritativeness and trustworthiness (competenza, autorevolezza e affidabilità). Questo vuol dire che Google ha il modo di misurare quanto una pagina sia rilevante per un determinato termine di ricerca, considerando la sua competenza in materia, nonché autorevolezza e affidabilità.

Basta così? No.

Nel dicembre 2022 Google, con una tempistica non sospetta, aggiunge una seconda E di “experience” (esperienza) all’acronimo. Una sorta di avviso ai naviganti: pubblicate pure quanto ne volete, tanto sono in grado di misurare quanto siete competenti, autorevoli, affidabili ed esperienti in materia, chiudendo la porta agli ultimi arrivati sponsorizzati dall’AI.

La EEAT è argomento ormai centrale nella SEO e va senz’altro approfondito. Per ora, ci interessiamo del suo risultato più diretto: la produzione di un articolo privo di contesto e radici, senza avere un peso specifico importante, non salirà nelle SERP.

Detto in modo ancora più semplice: per quanto l’AI riesca a scrivere testi con senso compiuto, anche di una certa lunghezza, cosa che non era in grado di fare fino a pochissimo tempo fa, questo contenuto non crescerà nelle ricerche organiche se privo di altri elementi fondamentali per contraddistinguerlo nel Mare Nostrum di contenuti simili.

Chi può far emergere una determinata pagina dal mare di contenuti?

La SEO, appunto. Vediamo come.

La SEO richiede lavoro e il rispetto dei suoi tempi, che si pagano. Sempre.

In questo mondo che va tanto di fretta e dove tutti vogliono tutto subito, può sembrare che la SEO non sia al passo con i tempi. Come abbiamo visto, la nostra attenzione è sommersa da richieste, domande e cose da fare. Apparentemente, sforzi a lungo termine sembrano anacronistici e soprattutto antieconomici.

Questo è un periodo segnato dalle promesse fatte dalla tecnologia: devi avere gli strumenti giusti, che faranno il lavoro per te, poi dovrai solo raccogliere i frutti, risparmiando tempo e costi notevoli.

Oggi, contraddistinguersi richiede uno sforzo maggiore di prima, non solo in termini di quantità ma soprattutto di qualità. Far emergere un sito per la sua esperienza, competenza, autorevolezza e affidabilità non è (e non sarà) fattibile a breve termine, né tantomeno eseguibile dalle macchine.

Perché? Rendere concreti gli elementi EEAT di un sito è un compito tutt’altro che semplice e veloce. Ad esempio: come far diventare un sito una voce rilevante nella sua nicchia? Qui interviene la SEO.

L’evoluzione della tecnologia è veloce e non ci consente conoscere i suoi confini. Sicuramente oggi, ma possibilmente anche nel futuro, la SEO continuerà a dare il suo contributo ad ogni attività economica con il suo impegno e risultati per promuovere prodotti e servizi, andando oltre la linea del banale.

Le capacità umane restano uniche e vanno ben oltre quello che l’intelligenza artificiale è in grado di fare. Nella SEO, questo ci permette di raggiungere risultati non ottenibili in modo automatizzato, cosa più che mai fondamentale per vincere le sfide di questo tempo. E possibilmente di quello che verrà.

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